Giornalisti, copywriter, sceneggiatori, ingegneri informatici, ma anche musicisti, illustratori, videomaker. Questo è solo un piccolo assaggio di professionalità che negli ultimi mesi si sono sentite minacciate dai progressi dell’intelligenza artificiale, con la paura di essere sostituiti in un futuro nemmeno troppo lontano.
Ma gli ultimi che si sono messi a confronto con le capacità dell’AI lo hanno fatto consapevolmente e appartengono alla stessa categoria di professionisti che hanno creato l’artificio: parliamo di due scienziati. Haifa Roy Kishony e il suo pupillo Tal Ifargan, due biologi e data scientist israeliani, hanno collaudato un algoritmo che ha permesso a ChatGpt di elaborare, durante l’oretta della loro pausa pranzo, un vero e proprio paper scientifico.
Il paper scientifico
I paper scientifici costituiscono una delle forme più importanti di comunicazione nel settore della scienza. Nell’editoria accademica un “paper” – o articolo – scientifico è uno scritto redatto in modo oggettivo, ovvero evidenziando in maniera trasparente e verificabile metodo e risultati di ricerca, su un argomento da parte di scienziati o tecnici, poi pubblicato tipicamente su riviste accademiche.
Per realizzare quello intitolato “The Impact of Fruit and Vegetable Consumption and Physical Activity in Diabetes Risk among Adults” (tradotto: “L’impatto del consumo di frutta e verdura e dell’attività fisica negli adulti a rischio diabetico”), i due scienziati israeliani hanno creato un un algoritmo automatizzato per guidare ChatGpt in tutti gli step che vanno dall’analisi di un set di dati medici, all’identificazione dei possibili argomenti di interesse scientifico, fino alla stesura vera e propria dello scritto. In questo modo, il celebre chatbot di OpenAI ha prodotto un testo assolutamente valido sotto il profilo stilistico e metodologico, la cui stessa analisi ha permesso di mettere in luce le opportunità, ma anche i limiti e i pericoli dell’utilizzo in campo scientifico delle intelligenze artificiali generative.
La stesura dell’articolo
Come sempre, ChatGpt opera in modo conversazionale: gli umani pongono delle domande e l’artificio elabora risposte, grazie anche all’infinita banca dati a disposizione.
Per quanto riguarda lo studio sul diabete, all’inizio Kishony e Ifargan hanno chiesto domande relative ad ogni sezione dell’articolo, come se dall’altra parte rispondesse uno scienziato di professione, il quale le ha strutturate. Nella seconda parte dell’esperimento, gli stessi testi generati nella prima sono stati riproposti nuovamente a ChatGpt, di modo che questa li rielaborasse e potesse aggiungere una bibliografia e citazioni accurate nel paper. In questa seconda sessione è come se il chatbot, da scienziato senziente, fosse passato al ruolo di “revisore” dei suoi stessi testi, per correggerli e arricchirli allo stesso tempo.
Le conclusioni e i risultati
Una volta impostato l’algoritmo per il lavoro di ChatGpt, i due biologi se ne sono andati tranquillamente a pranzo e, quando sono tornati operativi, sono rimasri piacevolmente colpiti dai risultati ottenuti in meno di un’ora di lavoro: un paper completo e pronto da leggere. Tuttavia, un’attenta analisi delle parole redatte e della struttura complessiva dell’articolo ha portato ai veri risultati dell’esperimento: valutare sia le potenzialità che i limiti del chatbot, alle prese con l’elaborazione e la scrittura di un testo scientifico.
In effetti, gli scienziati hanno riportato che alcune delle frasi contenute nel paper finale risultavano fuori posto o poco attinenti, oltre ad esserci un sottile rischio di “allucinazioni” da parte di ChatGpt, l’ormai risaputo vizio della chat, cioè quello di inserire qua e là qualche risposta inventatata di sana pianta.
Questo ha dimostrato la necessità di una cooperazione che non vada mai a sostituire interamente l’elemento umano, il quale potrà sia correggere gli errori in cui può incorrere l’intelligenza artificiale, che, dall’altro lato, sfruttare il lavoro di ricerca e stesura di contenuti negli aspetti più didascalici, sempre però mantenendo ad opera “umana” quelli più interessanti e complessi.