Il Codice di Condotta Ue anti disinformazione è uno strumento tramite il quale vari operatori dei servizi online hanno concordato di rispettare uno standard di autoregolamentazione per combattere la proliferazione delle fake news. Introdotto per la prima volta nel 2018, è stato poi rafforzato nel 2022, a seguito degli orientamenti della Commissione europea del maggio 2021. Al processo di revisione hanno preso parte 34 firmatari, tra i quali anche colossi di Intenet come Twitter, Twitch, Google e TikTok. Ognuno di essi ha scelto quali impegni sottoscrivere e si è assunto la responsabilità di garantirne un’attuazione efficace.
Tra le tante iniziative che le aziende hanno accettato di portare avanti è possibile elencare il rafforzamento della cooperazione con i fact checker, la demonetizzazione delle fake news, la responsabilizzazione degli utenti e la tutela della trasparenza della pubblicità politica. I firmatari hanno anche accettato di istituire un centro per la trasparenza, tramite il quale fornire al pubblico una chiara panoramica delle politiche messe in atto per attuare i propri impegni, da aggiornare regolarmente con dati pertinenti.
L’addio di Twitter al Codice di Condotta Ue anti disinformazione
Nel 2018 Twitter è stata una delle prime società ad aderire al Codice di Condotta Ue anti disinformazione, ma negli ultimi giorni ha ufficializzato la propria decisione di abbandonare lo strumento. L’ha confermato Thierry Breton, il commissario per il mercato interno, che sul social ha chiarito che il colosso dovrà comunque rispettare gli obblighi legali che saranno introdotti dal Digital Services Act a partire dal prossimo 25 agosto. “Puoi tentare di scappare, ma non puoi nasconderti. Al di là degli impegni volontari, la lotta alla disinformazione sarà un obbligo legale a partire dal 25 agosto, quando il Digital Services Act entrerà in vigore. E il nostro team sarà pronto a rendere effettivo il regolamento”, ha sottolineato Breton.
Cosa prevede il Digital Services Act?
Insomma, per qualche settimana Twitter sarà libero dagli impegni volontari che aveva sottoscritto, ma poi dovrà sottostare alle nuove disposizioni dell’Ue. Il DSA, infatti, riguarderà tutte le piattaforme online con più di 45 milioni di utenti attivi mensili. Le realtà interessate sono: Alibaba, AliExpress, Amazon Store, Apple, Appstore, Booking.com, Facebook, Google Play, Google Maps, Google Shopping, Instagram, LinkedIn, Pinterest, Snapchat, TikTok, Twitter, Wikipedia, YouTube e Zalando. I motori di ricerca coinvolti sono Bing e Google Search.
Le aziende che non rispetteranno le indicazioni del Digital Services Act dovranno pagare una multa pari al 10% del fatturato annuo globale, che potrà salire al 20% in caso di inadempienze continue. È prevista anche la possibilità di bannare le piattaforme inadempienti in tutto il territorio dell’Unione europea.