Nell’epoca in cui la pubblica amministrazione si trova costantemente al cospetto di attacchi informatici più o meno violenti, è senza dubbio il settore sanitario quello a destare maggiori preoccupazioni: secondo i dati, è questo il secondo ambito maggiormente nel mirino dei cybercriminali, con numeri che testimoniano quanto i dati dei pazienti italiani siano merce ambita da chi trae profitto nel divulgarli illegalmente, violando ogni qualsivoglia forma di privacy.
Sono ormai decine le strutture cliniche italiane colpite negli ultimi anni, con casi di “buchi” nei sistemi che hanno indotto le regioni – responsabili, come sappiamo, della gestione e della spesa sanitarie – che, impreparate innanzi ai ransomware infiltratisi, hanno provato a correre ai ripari annunciando iniziative volte alla messa in sicurezza dei dati grazie al coinvolgimento di questo o quell’altro esperto della materia.
A una prima disamina, però, di cambiamenti veri e propri, basati su interventi strutturali, sulla formazione delle risorse, su attività di informazione della cittadinanza all’orizzonte non se ne vede l’ombra, con buona pace di medici e pazienti continuamente esposti alla mercificazione di dati sensibili e cartelle cliniche, di anamnesi mediche e documenti personali, con poche sparute eccezioni che, tuttavia, vale la pena di evidenziare.
Abruzzo, un modello da seguire
E’ il caso dell’Abruzzo, una regione storicamente, e tristemente, appollaiata nelle “parti basse” della classifica quanto a innovazione del proprio sistema medico-sanitario e che, invece, pare aver reagito con serietà ed ambizione alle difficoltà che pure si sono verificate nel recente passato.
E’ storia del maggio scorso, infatti, il potente attacco hacker subito dalla Asl 1, comprendente le province di Avezzano, L’Aquila e Sulmona, la quale, finita nel mirino della gang ransomware Monti, che ne ha cifrati i server, ha visto interrompersi le quotidiane attività amministrative e sanitarie con un’ingente perdita di dati. Immediata è stata l’istituzione di una task force che, occupatasi dell’emergenza, in meno di un mese è riuscita nell’impresa di recuperare i dati e rimettere a regime i sistemi. Non solo, però. Guidato dal Dott. Riccardo Urbani, il team ha rilanciato la sfida aderendo – prima amministrazione di sempre – al Polo Strategico Nazionale, il Cloud attraverso cui lo Stato italiano si propone di mettere in sicurezza i dati delle PA semplificandone i processi, replicando poi la migrazione sul PSN anche per tutte le altre Aziende Sanitarie Locali abruzzesi, lanciandole, di fatto, in una nuova era tecnologica molto prima di tante altre omologhe appartenenti a regioni molto più quotate.
A ben guardare, tuttavia, questo piccolo grande primato non dovrebbe stupire: la digitalizzazione della sanità abruzzese, di cui lo stesso Dott. Urbani sembra oramai il volto indiscusso, è stato, infatti, uno dei capisaldi nella campagna elettorale che ha portato Marco Marsilio alla presidenza della regione la quale, grazie ai fondi del Pnrr, proprio lo scorso anno ha previsto un piano triennale di 50 milioni di euro per finanziare quella che in molti già hanno definito rivoluzione digitale. A stupire è invece una sorta di capacità di resilienza che, su questo tema, l’Abruzzo pare proprio possedere: così come l’approdo al PSN ha assunto i crismi di una risposta severa e solida all’emergenza derivante dall’attacco hacker, “Abruzzo sanità online”, la piattaforma digitale di dialogo tra il sistema sanitario regionale e i cittadini, pare aver in qualche modo approfittato delle esigenze improvvisamente emerse con la pandemia accelerando idee e processi apparsi vere e proprie chimere fino a quel momento. Lo sportello virtuale attraverso cui gli abruzzesi hanno iniziato a prenotare visite ed esami, a scegliere e revocare il medico di base, ad ottenere informazioni sulla rete di strutture regionali, probabilmente non emozionerà i più, ma con il recente lancio dell’app ad esso collegata e l’annuncio delle sperimentazioni avviate con l’obiettivo di proteggere da attacchi hacker gli apparati elettromedicali, il dubbio che il “piccolo Abruzzo” possa fare da traino alla solitamente arrugginita macchina della sanità pubblica è molto più che lecito.
Urbani e il pool di esperti da lui coinvolti sono, infatti, già impegnati nello sviluppo di sistemi combinati di realtà aumentata e intelligenza artificiale in ambito diagnostico e di refertazione, per non parlare del cosiddetto VNA (Vendor Neutral Archive), una soluzione digitale per la gestione centralizzata delle immagini mediche e dei dati clinici ad esse associati.
Se la terminologia risulta poco concreta, provate a pensare alla possibilità, per i medici abruzzesi, di poter consultare in tempo reale documentazioni fisicamente presenti in archivi di altre strutture distanti centinaia di chilometri; provate ad immaginare la visualizzazione in 3D di un organo umano affetto da un tumore, così da poterne studiare le caratteristiche e proiettarvi le conseguenze di un intervento; considerate, a tal proposito e nel giro di pochi anni, l’opportunità di poter agire da remoto muovendo apparecchiature robotiche nelle sale operatorie attraverso operazioni effettuate altrove. E che dire, poi, della rapidità delle comunicazioni medico-paziente, delle enormi potenzialità nell’ambito dell’istruzione e della formazione, delle best practice a livello locale che potrebbero in breve tempo essere replicate su più ampia scala.
Insomma, in Abruzzo sembra che il futuro abbia da tempo bussato alla porta e che nelle stanze dei bottoni, questa volta, le parole innovazione e sanità abbiano deciso di unirle e affiancarle al bene dei propri cittadini. Che questo stia accadendo a seguito di situazioni complesse e imprevedibili vissute nell’emergenza dà forse ancor più valore a questa evidente voglia di costruire un futuro più sicuro e moderno per la salute di tutti, con l’auspicio che la strada indicata in questa regione venga presto percorsa da molte altre in Italia, siano esse quotate oppure no.