Siamo nel 2003: non esisteva Facebook, né Instagram, né tantomeno Twitter, ma dilagavano le prime chat e il mondo dell’Internet imparava a conoscere, piano piano, il concetto dei social network.
Uno dei primi è stato My Space, messo online nel novembre 2003 da due studenti, Tom Anderson e Chris DeWolf. Già nel 2005 la società fu ceduta parzialmente all’Intermix Media, società acquisita da Rupert Murdoch nel 2005 per 580 milioni di dollari.
Fin dalla sua nascita, la piattaforma offriva ai propri utenti la possibilità di condividere con i propri contatti foto, musica, video e blog. Inoltre si poteva scegliere tra due tipologie di profilo, uno personale e uno aziendale: vi ricorda qualcosa?
Le funzioni extra del profilo aziendale (chiamato profilo artista) riguardavano la gestione di altri contenuti, come ad esempio le proprie produzioni musicali che potevano essere caricate all’interno di un player che offriva un primordiale contatore per gli ascolti. Ma andiamo nei dettagli su come funzionava uno dei primi social network della storia.
MySpace aveva le funzionalità di base di un social network di oggi, ossia:
Ma mentre sulle piattaforme odierne si possono cambiare solo determinati elementi del proprio profilo (informazioni e immagini), MySpace aveva un blog che permetteva di cambiare completamente l’aspetto della propria pagina tramite il codice HTML.
Esistevano tantissimi siti paralleli che offrivano dei template personalizzabili e con una conoscenza base dei codici HTML era possibile cambiare qualsiasi cosa all’interno del proprio Space: dai colori, ai font, fino all’aggiunta di immagini e sfondi.
Una volta creato il proprio spazio, si aveva la possibilità di aggiungere amici alla propria rete, ma anche personaggi illustri e musicisti più o meno famosi.
Inoltre all’epoca non esistevano i Social Media Manager, quindi la maggior parte dei profili (con qualche eccezione) erano gestiti direttamente dai proprietari. Dunque, in questa fase storica in particolare in cui non esistevano i maggiori social network, MySpace era l’unico modo per interagire con i tuoi idoli (email a parte).
Un’altra funzionalità era la possibilità di mostrare i tuoi top amici: in questo modo un utente che arrivava sul profilo poteva avere da subito un’idea di quali fossero i tuoi gusti musicali.
Diciamo infatti che MySpace era un vero e proprio contenitore di musicisti e di persone che interagivano tra di loro parlando principalmente di musica.
Un’altra funzionalità bellissima era la possibilità di mostrare i tuoi top amici (2, 4, 8, 16 o 32 se la memoria non mi inganna). In questo modo, un utente che atterrava sul tuo spazio, poteva avere da subito un’idea di quali fossero i tuoi gusti musicali.
Parlo spesso di musica perché effettivamente, la piattaforma, era questa: un contenitore di musicisti e di persone che interagivano tra di loro parlando di musica (e poi anche altro).
Condividere gratuitamente, con una rete enorme, le proprie produzioni musicali avendo la possibilità di finire nele classifiche di una piattaforma mondiale era innovativo: se eri un’artista emergente o avevi una band e non eri su MySpace eri fuori dal mercato.
Dunque si creava il proprio profilo aziendale, si caricavano le informazioni in bio corredate di foto, video e le proprie canzoni nel player. Se queste venivano ascoltate da migliaia di persone si finiva nelle classifiche nazionali o mondiali con il “rischio” di diventare famosi e qualcuno ci è riuscito davvero.
L’unica pecca era la scarsa intelligenza dell’algoritmo che stabiliva le Chart (ce n’era una globale e una per ogni Paese): in pratica l’algoritmo non discriminava gli stream provenienti dallo stesso indirizzo IP, quindi bastava re-freshare l’ascolto più volte per ottenere più visualizzazioni.
Ma torniamo a chi davvero è riuscito a rompere il tetto di cristallo e diventare famoso a livello planetario grazie a MySpace: su tutti gli Arctic Monkeys che, grazie alla loro notevole fanbase sul sito, batterono ogni tipo di record con il loro disco d’esordio.
Ma la lista è lunga e tra i più famosi si possono citare Nicki Minaj, Dev, Lily Allen, Adele, i Belladonna, Mika e i Cansei der Ser Sexy, i quali hanno sfruttato al meglio il social network come vetrina mondiale e gratuita per la loro musica.
MySpace aveva la potenzialità di diventare come Facebook, Instagram e Soundcloud messi insieme, ma invece dal 2011 in poi le cose non andarono per il verso giusto.
La mancanza di un aggiornamento della piattaforma che potesse competere con un newbie ma sempre più popolare Facebook e le errate scelte aziendali di Murdoch, hanno portato MySpace verso il cimitero dei social.
Gli ultimi vani tentativi di modernizzare la piattaforma si sono dimostrati vani e a dir poco ridicoli, come la possibilità di fare una propria radio, e l’ultimo, terribile atto, fu nel 2015 con la cancellazione involontaria di 12 anni di musica.
Attualmente (e ufficialmente) MySpace è tutt’altro che morto: se si va su myspace.com c’è ancora la pagina, anche se per lo più si è allontanato dai social network per diventare un sito di musica e intrattenimento curato; nel 2019 il sito vantava oltre 7 milioni di visite mensili.
Nel 2012 Justin Timberlake ha twittato un collegamento a un video che presentava una riprogettazione completamente nuova della piattaforma Myspace e una nuova attenzione all’unione di musica e social media.
Quattro anni dopo, nel 2016, Time Inc. ha acquisito Myspace e altre piattaforme di proprietà della società madre Viant per accedere ai dati che potrebbero essere sfruttati per il targeting degli annunci.
Nella prima pagina di Myspace troverai una varietà di notizie di intrattenimento non solo sulla musica, ma anche su film, sport, cibo e altri argomenti culturali.
I profili sono ancora una caratteristica centrale del social network, ma gli utenti sono incoraggiati a condividere la propria musica, video, foto e persino eventi concertistici.
Myspace certamente non è più quello di una volta, né ha la base di utenti attiva che aveva quando raggiunse il picco nel 2008, ma è ancora vivo. Se ami la musica e l’intrattenimento, potrebbe valere la pena darci un’occhiata.
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