Nel 1983, Fred Cohen, uno studente della University of Southern California, introdusse un concetto sconvolgente: il virus informatico. Con la sua dimostrazione, Cohen mostrò come i computer, simili agli esseri viventi, potessero essere vulnerabili a una sorta di “malattia” digitale.
Questo esperimento, che rivelò l’esistenza del primo virus capace di prendere il controllo di un personal computer, rappresentò una svolta per il mondo informatico, dimostrando quanto le macchine potessero essere influenzate da programmi dannosi. La dimostrazione avvenne tramite un virus che infettava un programma di grafica, propagandosi attraverso floppy disk e mandando in tilt il sistema.
L’idea stessa di un programma che infettasse un sistema in modo simile ai virus biologici fu talmente potente da generare una vera rivoluzione culturale e tecnologica. Il matematico e biologo Leonard Adleman fu il primo a collegare i termini “virus” e “computer,” aprendo così le porte a una nuova branca della sicurezza informatica.
Per la prima volta, si intuì che le macchine non erano semplicemente strumenti inanimati ma che, in un certo senso, erano vulnerabili come gli esseri umani. Esattamente come gli organismi, anche i computer potevano essere attaccati, corrotti e persino “ammalarsi.” Questa scoperta portò a una rivalutazione del concetto stesso di tecnologia, che cominciò a essere vista come qualcosa di più simile a un sistema vivente, in grado di subire danni e richiedere protezione.
Come per l’industria farmaceutica, l’identificazione di questa “malattia” digitale catalizzò la nascita di un intero settore dedicato alla sicurezza informatica. Così come gli antivirus medici combattono i patogeni biologici, i primi antivirus informatici furono sviluppati per proteggere i computer dai virus digitali. Questo nuovo campo di ricerca era orientato a difendere le informazioni e a prevenire la diffusione dei malware, e segnò l’inizio di una continua battaglia tra creatori di virus e sviluppatori di software di sicurezza.
La scoperta di Cohen contribuì anche a trasformare la percezione dei computer da semplici strumenti tecnologici a veri e propri “organismi” digitali. La vulnerabilità mostrata dai sistemi rese evidente che, proprio come gli esseri viventi, i computer hanno una sorta di “ciclo vitale”: possono nascere, svilupparsi, ammalarsi e persino deteriorarsi con il tempo.
Questa nuova prospettiva portò allo sviluppo di protocolli di protezione per la conservazione dei dati, con l’obiettivo di garantire che le informazioni sopravvivessero oltre la durata di vita fisica dei singoli computer. Ciò evidenziò l’importanza di preservare la “memoria” digitale, un concetto che influenzò profondamente il mondo delle imprese, che si resero conto di dover proteggere i loro dati non solo dagli attacchi, ma anche dall’usura digitale.
All’inizio degli anni Ottanta, il termine “virus informatico” divenne familiare grazie alla ricerca di Cohen e all’opera divulgativa di Adleman. Con la pubblicazione di “Experiments with Computer Viruses” nel 1984, Cohen rese evidente che non esistevano strumenti in grado di difendere completamente i computer da questi programmi dannosi.
La vulnerabilità dei sistemi portò alla necessità di sensibilizzare il pubblico sul problema della sicurezza informatica e sull’importanza di proteggersi da attacchi malevoli. L’esperimento di Cohen fu un monito che spronò la comunità scientifica a lavorare su soluzioni preventive.
Questa nuova forma di minaccia portò rapidamente alla nascita di una controparte difensiva: gli antivirus. Il primo antivirus fu sviluppato nel 1985 dalla società inglese Sophos, seguita poco dopo da altre aziende. Nel 1986, apparve il primo virus di massa per il sistema operativo Microsoft DOS, noto come Brain. Brain, creato dai fratelli pakistani Farooq Alvi, era un virus “stealth,” ovvero dotato di capacità di nascondersi nel sistema, infettando il settore di avvio dei floppy disk. L’infezione si diffuse rapidamente, segnando un punto di non ritorno nella storia dei virus informatici.
Questa escalation di minacce non si fermò. Nel 1988, un nuovo virus per DOS, chiamato Ping-Pong, si diffuse a livello globale, mostrando una pallina che rimbalzava sullo schermo dei computer infetti. Anche se apparentemente innocuo, Ping-Pong mise in evidenza la facilità con cui un virus poteva diffondersi e infettare un vasto numero di sistemi.
Alla fine degli anni Ottanta, il virus Datacrime fece danni ancora maggiori, distruggendo i dati sui dischi rigidi e lasciando messaggi sullo schermo che indicavano la data di rilascio del virus. Datacrime dimostrò quanto potessero essere dannosi i virus, non solo disturbando il funzionamento dei computer, ma causando gravi perdite di dati.
Oltre ai virus che attaccavano i sistemi DOS, si svilupparono anche i primi malware per Apple. Nel 1982, un quindicenne di nome Rich Skrenta creò Elk Cloner, il primo virus per personal computer, progettato per infettare gli Apple II. Anche se Elk Cloner era relativamente innocuo, poiché mostrava semplicemente messaggi scherzosi, segnò l’inizio di una nuova era, dimostrando che nessun sistema operativo era realmente immune. Elk Cloner divenne famoso per essersi diffuso tra gli amici di Skrenta, abituati a scambiarsi software su floppy disk. Questo virus, pur non essendo distruttivo, portò alla luce la vulnerabilità di tutti i sistemi informatici.
Con il passare degli anni, i virus sono diventati sempre più sofisticati e pericolosi. Negli anni Ottanta comparvero i trojan, programmi dannosi che si mascheravano da applicazioni legittime, ingannando gli utenti. Questi virus furono particolarmente insidiosi perché riuscivano a danneggiare i sistemi in modo subdolo, spesso senza che l’utente se ne accorgesse. Uno dei primi trojan famosi, EGABTR, si diffondeva fingendosi un software per migliorare la grafica, ma cancellava i file del sistema, lasciando un messaggio beffardo.
La continua evoluzione delle minacce informatiche richiese nuove risposte. Negli anni Novanta, con la diffusione di Internet, i virus iniziarono a diffondersi via email e siti web, introducendo un altro livello di complessità nella sicurezza informatica. La battaglia tra virus e antivirus si intensificò, spingendo le aziende a sviluppare software sempre più avanzati per proteggere i propri dati. Oggi, i virus informatici si sono evoluti in varie forme, come spyware, dialer e ransomware, con obiettivi che vanno dal furto di dati al blocco dei sistemi aziendali.
In conclusione, la scoperta di Cohen ha dato il via a una nuova era per l’informatica, portando alla nascita di un settore dedicato alla sicurezza digitale e cambiando per sempre il modo in cui percepiamo i computer e i dati. Il virus informatico ha trasformato la tecnologia, rendendo evidente la necessità di proteggere non solo le macchine, ma anche le informazioni personali e aziendali. La sicurezza informatica è oggi un settore complesso e in costante evoluzione, fondamentale per garantire un uso sicuro della tecnologia e proteggere la nostra vita digitale.
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